lunedì 13 settembre 2010

1) dalla 2a serie "Affetti" 1976-77(in costruzione)


"In Extremis..." / part. quadro n.9 / 1976 -77
cm.30x40


"In Extremis..." / part. quadro n.9 / 1976 -77
cm. 30x40


"In Extremis (Per un punto e trenta...E' stato sempre uno dei miei sogni)" / 1975-76-77
 Numero 10 immagini di riproduzione fotografica fronte-retro B/N stampa lambda su dibond
cm. 300x40


Nota al lavoro:


Quest’opera della 2^ serie “Affetti”, del 1976/77, rappresenta il passaggio dalla riproduzione fotografica del 1975/76 alla ripresa fotografica con tableau vivant

E' stato sempre uno dei miei "sogni". In famiglia da ragazzino ho assistito ad una vera e propria sfilata di divise: dalla banda musicale, a quelle militari e corpi di polizia, subendone (come si suole dire) in tenera età, il fascino (come avveniva una volta, anche per le donne). Si sa i ragazzini imitano le persone mature, sognano e si augurano presto che il tempo passi per diventare grandi e realizzare i propri desideri. La prima cosa è quella di mettersi a fumare. Almeno così era a cavallo tra gli anni 50 e 60, ai tempi di Carosone e di Modugno, quando da ogni casa si sentiva cantare Volare, Piove, Tu vo fà l’americane e Paul Anka con la canzone Diana.

A parte le divise della mitica "Banda Musicale Città di Campagna" (che veniva chiamata, per le feste patronali, in quasi tutto il Meridione d’Italia), in cui ricordo ancora mio padre mentre suona il basso e mio nonno il clarinetto. Ma più di tutte mi sono rimaste impresse una serie di fotografie di divise militari indossate da alcuni componenti della mia famiglia: mio padre in tenuta di guerra, negli anni 40; un mio zio, fratello di mio padre, maresciallo scelto dell'esercito regio, negli anni 30; il mio primo fratello vicebrigadiere dei carabinieri negli anni 60 (poi congedatosi); il secondo fratello, sottotenente dell'esercito italiano nel servizio militare, sempre negli anni 60. Mi ricordo anche di altre divise che mi sfilavano sotto gli occhi, come quella di un altro zio (acquisito), marito di una sorella di mio padre, ex gerarca sotto il fascismo e poi maresciallo dei vigili urbani nella nascente Repubblica Italiana (dal 1948 in poi) e di un caro amico di famiglia (Tagliaferro), ufficiale dei finanzieri e così via. Era come un morbo. Una scelta ideale di vita per alcuni "per servire la patria", per molti invece, una scelta forzosa (per non dire forzata), per riuscire a trovare un proprio futuro lontano dalla miseria, e spesso, lontano...molto lontano da casa.

Questo è stato il contesto in cui è scaturito uno dei miei sogni: indossare una divisa. E' vero.  Avevo questo sogno, anche quando mi distraevo divertendomi nel disegnare per ore e ore, con un altro sogno, una passione che mi trasmise il mio primo fratello, che poi si arruolò (guarda un pò) nell'arma dei Carabinieri. Disegnavo spesso in continuazione, senza mai fermarmi. Era diventata una mania, da quando in prima elementare, scoprii, che con la penna e la matita, oltre che a scrivere si potesse anche disegnare. Ho disegnato eserciti, uomini in divisa, eroi del Far West, bandiere di vari paesi, gli indiani d'America, ma anche partite di pallone e molti ritratti. Ero condizionato dall'ambiente, e non solo familiare, ma di un'intera collettività, che nel dopoguerra cercava un riscatto sociale, dopo tanta paura, fame, miseria e soprusi vissuti e in molti casi, subiti. L'ambiente però, mi portava anche a conoscere alcuni mestieri che mi affascinavano, come per esempio il falegname e il fornaio. Infatti quando capitavo in una falegnameria, mi piaceva molto l'odore del legno e la manualità dell'artigiano, forse perché mio padre era anche ebanista, come mi piaceva molto l'odore del pane appena sfornato, quando con mia madre, dopo che ci aveva lavorato dalle due di mattina, mi portava a prendere la quantità che le spettava, per il negozio di alimentari: in gran parte, pane da un chilo, ma anche da mezzo chilo e da due chili (le famose “panelle”). Era uno spettacolo, vedere il fornaio e le donne all'opera, con il pane appena sfornato che riempiva di profumo l’intero quartiere, facendo venire l’acquolina in bocca, sul quale si passava un panno umido per consentire di prenderlo con le mani e adagiarlo nelle dovute sporte.

Certo crescendo mi sono reso conto di altre esigenze, e poi la passione per il disegno e per l'arte in genere aumentava sempre più, fino a crearmi una coscienza, e, al di là dell'obbligo allo studio (che io non accettavo) decidere di intraprendere gli studi artistici, per seguire almeno un mio sogno che predominava su tutto. Eppure dovetti combattere con i miei genitori, i quali mi vedevano dottore...avvocato...professore...cavaliere, non per colpa loro, ma per colpa di tutta una politica sbagliata che si consumava ai loro danni e ai nostri danni, che abbiamo rappresentato, e rappresentiamo, la generazione di passaggio (obbligata allo studio, anche senza la vocazione, riempiendo la nazione di "intellettuali" e di nullafacenti “corruttibili”, per dirla con Pasolini), tra una civiltà contadina a quella industriale, in un'Italia, dove ufficialmente si sono raccontate e si raccontano (per me), solo menzogne...dal 1860 ad oggi.

Alla visita militare per il servizio di leva, per fortuna, fui rivedibile e poi riformato. Non subii nessun trauma, come capitava spesso ai miei coetanei che sognavano la divisa, succubi di una cultura militare del "maschio forte". Non perché io mi sentissi "debole", anzi, mi sentii più forte dei forti. Per fortuna non era più un mio sogno, ma se lo fosse stato, in ogni modo mi salvavo "in extremis", appunto. Nel lessico paesano, si diceva "per un punto e trenta": "essere fermati in tempo, o fermarsi in tempo, sul ciglio di un burrone". La mia fu un'immensa gioia.

Questo episodio, ho cercato di sintetizzarlo per un lavoro attraverso un recupero di vecchie fotografie del 1975/76, sfociato poi in un film super 8 nel 1977, con la mia immagine finale di “souvenir” in "tableau vivant" e il certificato di riforma sul retro. Una ripresa realizzata con un lento movimento orizzontale della cinepresa, da sinistra verso destra, e viceversa, che va dalla porta d’ingresso alla finestra dell’ambiente, dove al centro della scena, vicino ad un armadio con specchio, si svolge un rituale (il rituale della vestizione del militare), e all’esterno si intravedono persone che passano casualmente (imprevisti voluti). Se a quei tempi, Nanni Moretti girava “Ecce Bombo”, per il Cinema ufficiale, il sottoscritto, realizzava questi corti, per una sua ricerca...nel pendolarismo tra Milano e Salerno...

16 - marzo - 2005
"La Bambola", 1976-77-fotografia colore e B/N, 70X100
"La Chiesa, la fontana,il Coltello", 1976, fotografie colore - 70x100 cm.

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"L'Aereo", 1977-dalla serie affetti 2 - Installazione fotografica e oggettuale - n. 7 fotocolor più aereo di carta, 18x24 cm.




"L'Aereo", 1977-dalla serie affetti 2 - Installazione fotografica e oggettuale - visione d'insieme - 
n. 7 fotocolor più aereo di carta, 18x24 cm. - dalla mostra alla Taide Spazio Per di Salerno, 1978

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